Zanzibar, stessa spiaggia | stesso mare
Ed eccoci qui. Stessa spiaggia, stesso mare.
Ho mantenuto una media di lettura pari a 100 pagine al giorno.
Ho ridotto le relazioni all’osso, limitandomi a rispondere jambo, mambo, poa, al bisogno.
Ho salutato con grande piacere Riccardo, le massaggiatrici della spiaggia (che sono state cacciate perché erano abusive), il cameriere del Fisherman che è il mio spacciatore di rock lobster preferito.
La vita scorre lenta qui. Pole pole, sempre uguale. Non servono tante parole per scegliere una delle quattro birre al bar, uno dei tre pesci in menu, o come vuoi l’omelette a colazione. Tomato only perché cipolla e peperoni si ripropongono, that’s it.
Il cielo si muove, la terra sembra più rotonda, e tutto cambia a seconda del sole e della luna.
La spiaggia è borotalco e poi diventa grigia al passaggio di una nuvola, il mare è basso con le stelle marine e poi alto che se vai a Nungwi non riesci a tornare.
Per capire l’ora si guarda il sole che verso le 17 è già pronto a salutare. Così si cena presto e non ci si pensa più. I miei libri sono sempre drammatici. Un amabile contrasto, tra paradiso e turbamenti di una civiltà complessa dove ci sono più birre, più pesci, dove esiste l’uovo alla Benedict, e per tutti questi motivi il vivere è più faticoso.
Più ricco, più stimolante, più tutto. Ma decisamente più impegnativo.
Torno al mio libro (“Il mio anno di riposo e oblio”): ho ancora due giorni per fare il pieno di bellezza e semplicità.
Poi sarà di nuovo gente che si arrabbia per delle fottute mail, whatsapp notturni, interviste e scadenze e Malpensa che non manca mai. In paradiso mi annoierei a morte, lo so.
Ma qualche pausa come questa serve a rimettere a posto i pezzi, e a capire che la vita è, a tratti, bellissima, e spudoratamente surreale.
Saluti da Kendwa Beach.
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