La cronaca semina spesso suggestioni che alimentano la fantasia; cinema, fiction e letteratura si nutrono di pezzi di realtà, li mischiano, li plasmano, li trasfigurano e li collocano in scenari credibili dove nascono le storie, inventate eppure evocatrici di ricordi, visioni, emozioni, esperienze. E sceglie il set del Salento per il suo nuovo romanzo, Federica De Paolis, dialoghista di film provenienti da varie parti del mondo e scrittrice con, alle spalle, più di un successo.

Notturno salentino, è il titolo del suo ultimo romanzo, intriso di realismo, ma ambientato in un proscenio ideale per il genere noir, “in una terra rossa e abbagliante che si presta al racconto letterario”. Un luogo che parla di sapori e di odori e della notte, “che nasconde, ma anche che libera le emozioni”.

La storia si svolge in una Puglia arsa dal sole, densa di case di villeggiatura abitate da danarosi romani e milanesi. E l’incipit è una festa in una masseria salentina, anche se lo scenario principale diventa la villa dove Livia, la protagonista, una donna scontenta sposata a un uomo sempre in viaggio, trascorre le vacanze con i figli piccoli e due collaboratrici domestiche: la baby sitter Cynthia, sensuale ragazza nigeriana e Klara, una polacca alquanto nevrotica.

Ma è un vero e proprio gineceo popolato di figure femminili di ogni età ed estrazione sociale, quello che ruota intorno alla scomparsa di un bellissimo ragazzo locale, il cui esito richiama episodi di cronaca nera. Un fatto sconvolgente che rompe l’equilibrio della famiglia “normale ” di Livia, con il suo relativo groviglio di segreti, frustrazioni, enigmi e “piccoli omicidi” propri di una terra arcaica e che scatena tradimenti e pulsioni violente, con il mistero che da sempre gira intorno al desiderare e all’agire. Notturno salentino è un romanzo di qualità che accoglie i suggerimenti della cronaca ma che, insieme al thriller d’intrattenimento, regala un’indagine dell’animo umano che riguarda tutti noi.

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Com’è nata l’idea del Notturno?
Ho una casa in Salento, ormai da otto anni. L’idea è germogliata laggiù. Ero in vacanza con i miei figli e la mia tata, una bellissima ragazza nigeriana: la guardavano tutti – un po’ per la sua avvenenza, un po’ probabilmente perché di colore. La mia casa era in costruzione e circolavano tantissimi operai, era tutto un’occhieggiarsi. Poi, c’era stato il fatto di Avetrana, la povera Scazzi trovata nel pozzo. E anche nel mio giardino ci sono tre pozzi, chiusi, abbandonati: la Puglia ne è disseminata. Ho cercato di mettere le cose insieme. Nell’immagine originale del romanzo, c’era un gineceo di donne (madre, tata, bambine, figlia adolescente) che osservavano questo bellissimo ragazzo lavorare la terra; un uomo destinato a finire nel pozzo, era evidente. Poi l’incipit è cambiato ma ho mantenuto queste figure femminili: diverse età, estrazioni, hanno un modo preciso di interpretare la realtà, le loro visioni sono opposte eppure completano una specie di puzzle. Scrivendo sono arrivati nuovi temi: è apparso il pregiudizio, tutti i personaggi si osservano con una sorta di preconcetto in tasca: è un ritratto di un’Italia retrograda, ferma, antica. Il proscenio è il Salento, una terra che si presta al racconto letterario: la luce abbagliante, la terra rossa che è al tempo stesso un odore e un sapore; c’è una grande attenzione sensoriale. Volevo cercare di riprodurre quelle atmosfere che, per me, sono fortissime. E l’azione principale doveva svolgersi di notte, la notte che nasconde ma anche che libera certe emozioni.

Thriller o anatomia di una famiglia “normale”?
Volevo scrivere un noir, sono affascinata dalla nera (come si dice in gergo) ed è un genere letterario e cinematografico che amo. Ma non volevo avventurarmi nella figura dell’ispettore, la polizia, eccetera. I casi di cronaca si svolgono al novanta per cento all’interno del nucleo familiare. La famiglia “normale” è un’oasi di amore e protezione, resistenza ma anche un pericoloso territorio di incomprensioni e risentimenti, di ferocia. È lo scenario perfetto per raccontare i sentimenti del quotidiano e non rinunciare a una storia con un ritmo sostenuto, dominata dai colpi di scena. Livia è delusa dall’ennesima assenza del marito e decide di uscire con un uomo che la corteggia. In realtà nel corso della serata si scambiano solo un bacio. Ma in lei si accende un desiderio forte ed è l’uomo a sottrarsi: di fatto non accade nulla, ma la pulsione del tradimento è violenta. Esiste una differenza tra desiderare e agire? È una domanda che il libro pone. Proprio durante quella notte, viene ucciso Antonio Locandido, gettato nel pozzo della tenuta di Livia. Questa morte porta a un’indagine, non solo nella sua casa ma anche nella sua vita e soprattutto nella sua anima. Livia è costretta a confrontarsi continuamente con quella serata, con una colpa che ha assunto confini imponderabili. Per cercare di nascondere quell’uscita, innocente quanto incredibilmente adultera, si innesca un meccanismo di bugie, omissioni, segreti: tutto per difendere la famiglia.

Come si concilia il lavoro di dialoghista cinematografica con la letteratura?
Scrivere i dialoghi è una palestra importantissima. Il mio lavoro consiste soprattutto nel restituire un senso nella lingua italiana a film che vengono da tutti i paesi del mondo. E nei film il linguaggio è fluido, naturale, spontaneo. Perché per quanto sia stato scritto da uno sceneggiatore, poi nel parlato assume la sua autenticità. E anche nel romanzo, i dialoghi devono avere il sapore del parlato, non dello scritto. Syd Field, che è l’autore di un manuale di sceneggiatura che è stato un faro per milioni di persone, diceva che per scrivere i dialoghi bisognerebbe registrarsi e poi trascrivere. Pause, tentennamenti, ripetizioni: tutto questo è il dialogo. In questo libro, che ho scritto con una prosa senz’altro più pulita, a servizio della storia, ho usato moltissimo i dialoghi avventurandomi anche con pennellate di dialetto: ci sono pugliesi, toscani, romani e milanesi. Il modo di parlare di ogni personaggio non solo lo caratterizza, ma è lo specchio della sua essenza, del suo pensare. Se la prosa è piana e anche abbastanza austera, gli scambi di battute sono variopinti, c’è un abisso tra come si esprimono i personaggi. È stata un’impresa meravigliosa riuscire a far parlare un disilluso maresciallo di provincia, una vecchia intellettuale navigata, una ragazza nigeriana senza difese.

Federica De Paolis
Notturno salentino
Mondadori
pp.260, euro 18